I fari dell’auto si affacciavano nel buio denso della notte
macchiando l’asfalto con la loro pallida luce. Sfioravano appena
la monotona pianura erbosa in cui la strada era immersa, facendo scintillare
di un verde vivo e luminoso i fili d’erba più vicini alla
carreggiata. Ed era forse a causa dei fari dell’auto se guardando
il cielo di una notte senza luna si aveva l’impressione di un
bagliore indistinto, come di una ineffabile fluorescenza che aleggiava
nell’aria… Vedevo il paesaggio scorrere intorno a me lento
e ovattato come un sogno dipinto in un mondo di nebbia. Da quanto tempo
stessi seguendo quella strana e desolata strada non saprei dirlo… mi
sentivo intorpidito come al risveglio da un sonno lungo e indolente.
E quanto tempo era passato da quando mi ero reso conto di trovarmi
alla guida di quella macchina, senza nemmeno riuscire a ricordare se
mi appartenesse oppure no, in quella strada in cui, più proseguivo
e più ne ero convinto, non c’era nessuna differenza tra
l’avanzare e lo stare fermi? Avvolta nel buio di quella notte
innaturale avvertivo la presenza immensa e soffocante della pianura
che mi circondava e affogava la mia anima. Quell’immagine mi
riportò alla mente quelle piccole bocce di vetro che si trovano
sulle bancarelle e nei piccoli negozi di souvenir delle località di
villeggiatura, al cui interno è riprodotto un paesaggio in miniatura.
Provai una vaga sensazione di freddo. All’idea di trovarmi su
una bancarella di un lungomare in mezzo ad una pianura di plastica
ebbi l’impulso di accennare un mezzo sorriso, anche se probabilmente
fu qualcosa di molto più simile ad una smorfia; in quella sensazione
c’era qualcosa su cui non ero molto sicuro di voler scherzare.
Tornai ad osservare quella strada che si proiettava davanti a me come
una retta tracciata su uno sconfinato foglio bianco. Il paesaggio che
mi circondava era immerso in una calma assorta e totale. C’era
qualcosa in quella pace che mi dava un senso d’inquietudine.
Per un attimo il riflesso fresco e vivace dell’erba sul ciglio
della strada mi diede l’impressione di una maschera beffarda.
Ma fu solo la sensazione sfuggente di un istante, che si dissolse come
una nuvola di fumo nel momento in cui si tenta di afferrarla. Sotto
ai miei occhi il pigro avanzare dell’automobile era scandito
dall’alternarsi del grigio dell’asfalto, sbiadito dai fari
della macchina, e il bianco abbagliante delle strisce discontinue che
separavano le due corsie deserte. Adesso la strada mi sembrava un lungo
braccio proteso verso di me, che con gli inesorabili gesti di una mano
invisibile mi attirava in avanti. Ed io avevo continuato ad avanzare… ma
aveva forse un senso chiedersi da quanto? Avevo la sensazione di non
aver mai fatto altro in tutta la mia vita. E a dire il vero non riuscivo
a ricordare se fosse effettivamente stato così. Intuivo la presenza
di un vago e indistinto senso di paura, sfuggente nell’oscurità che
si riversava nell’abitacolo dell’auto e che sembrava voler
penetrare fin nelle ossa. Attutito dalla debilitante apatia che permeava
quel luogo, avvertivo l’indicibile terrore di chi si volta per
tornare con lo sguardo sui suoi passi e vede innanzi a sé la
sterminata voragine su cui si apre l’inaudito e vertiginoso orrore
del nulla. E tutto questo sembrava non lasciare la minima traccia nella
mia anima appiattita, atrofizzata dall’immobilità di quella
pianura, che sembrava aver saputo soggiogare lo scorrere del tempo
ed averlo soffocato nella propria inerte esistenza.
L’auto continuò ad avanzare immersa nell’oscurità di
quel luogo assurdo e impossibile finché sulla destra, poco distante
dal ciglio della strada, scorsi l’esile figura di un fusto sottile
e spoglio stagliarsi nel bagliore dei fari. Si stava avvicinando sempre
più lentamente, finché la macchina non si fermò del
tutto a pochi passi di distanza. La mia attenzione, che fino ad allora
era stata rivolta al paesaggio intorno a me, si spostò sulla
vettura in cui avevo viaggiato fino a quel momento. Lo stupore e lo
sbigottimento per l’insensata situazione in cui improvvisamente
ero venuto a trovarmi (o, se non altro, in cui mi ero improvvisamente
reso conto di trovarmi) mi avevano forse spinto a rilasciare il piede
dal pedale dell’accelerazione? Provai a premerlo varie volte,
ma non accadde nulla, e la chiave di accensione sembrava bloccata.
Mi distesi contro il sedile. Sentivo la testa invasa da una strana
sensazione di vuota pesantezza. Mi sentivo schiacciato dall’immensità della
pianura che mi circondava e che sembrava spaziare all’infinito
in ogni direzione. Avevo l’impressione che all’interno
dell’auto l’aria si stesse facendo sempre più calda
e pesante. Nel silenzio di quel luogo mi sembrava di sentire il mio
respiro e i battiti del mio cuore come un rumore assordante. Cominciavo
a sentirmi soffocare, ma quando provai a slacciare la cintura di sicurezza
mi resi conto di non riuscire a muovermi. Era come se una stanchezza
totale e devastante mi avesse paralizzato su quel sedile annientando
la mia volontà. Probabilmente mi addormentai e mi risvegliai
varie volte su quell’auto. Ricordo quell’improvviso senso
di paura e smarrimento che si prova svegliandosi di soprassalto da
un sonno indotto dalla noia di un momento piatto, vacuo e insignificante.
Ancora una volta ebbi l’impressione di non avere mai fatto altro
che restare disteso su quel sedile, all’interno di una macchina
sconosciuta perduta nel mezzo di quella pianura estranea, avvolta nell’oscurità e
nel silenzio di una solitudine straziante. In quel luogo in cui il
concetto di tempo sembrava perdere ogni significato ogni istante si
ingigantiva e sembrava proiettarsi in un’eternità vuota.
E così riuscire a scuotermi abbastanza per slacciare la cintura
e aprire la portiera mi diede la sensazione di essere morto e rinato
in un mondo nuovo. Appena uscito da un’auto su cui non riuscivo
a credere di essere rimasto fino a quel momento mi sentii immerso in
un’aria fresca e pungente. Quando il mio respiro si fece meno
affannoso e più regolare mi guardai intorno. I colori rivelati
dai fari erano più luminosi di come erano apparsi dall’interno
dell’auto. La macchina ferma, immobile su quella strada, per
un momento mi sembrò il gigantesco guscio vuoto di un insetto
morto. Questa sensazione durò poco, in pochi istanti avvertii
nella forma dell’automobile una durezza, una solidità che
mi avrebbero fatto pensare piuttosto a qualcosa di eterno ed indeformabile… Di
nuovo ebbi la sensazione che tutto fosse sempre stato esattamente come
appariva in quel momento, con quella macchina irremovibile in quel
punto esatto di quella strada eternamente deserta, come un’origine
da cui la retta di asfalto si estendeva in entrambe le direzioni. All'improvviso
ebbi la sensazione di vedere quella scena dall’alto, come un
bambino curvo su un vecchio giocattolo. Mi sembrò di venire
trascinato all’insù, come se fossi stato improvvisamente
privato di tutto il mio peso; avvertivo la sensazione di un legame
sottile e precario scorrere e sfuggirmi tra le mani, come si sfila
la corda di un aquilone quando non è fissata saldamente e si
alza un vento troppo forte, mentre vedevo la strada farsi sempre più minuscola
sotto il mio sguardo. Quando tornai in me mi accorsi di aver ripreso
ad avanzare lungo quella strada.
Mi girai istintivamente per verificare quanto mi fossi allontanato
dall’auto. Nel momento in cui voltai lo sguardo mi sembrò di
scorgere un’impercettibile luminescenza che subito scomparve,
come l’ultimo barlume di una luce sul punto di spegnersi. In
un istante mi balenò alla mente l’immagine dell’auto
che veniva inghiottita dall’oscurità della notte come
trascinata in una voragine di sabbie mobili. Mossi qualche passo nella
direzione in cui doveva essere stata l’automobile, mi misi a
correre per qualche metro, poi caddi in ginocchio, perché sapevo
che se mai quell’auto era stata su quella strada infernale, adesso
era scomparsa per sempre, e non l’avrei mai più raggiunta.
Il terrore e lo sgomento mi avevano atterrito. Ogni istante era come
una morsa di folle paura che mi attanagliava le tempie e mi inondava
il corpo come un veleno. Mi alzai, mi voltai nuovamente e cominciai
a correre. La paura continuava ad aumentare ad ogni istante che scorreva
via lungo quella strada morta, ma mentre correvo, anziché attanagliarmi
il cervello in quella morsa di cieco e buio terrore che aveva quasi
annientato la consapevolezza stessa di essere me stesso, faceva esplodere
in me ad ogni passo una scarica di folgorante energia, finché non
mi sentii invaso da una sorta di delirante e assurda euforia. In preda
ad una paura talmente folle ed assoluta che neppure in seguito sarei
più riuscito a concepire mi sentivo sconvolto e devastato dal
bisogno di urlare e contemporaneamente dal bisogno di non farlo, entrambi
dettati dal terrore pazzesco e sfrenato in cui mi sentivo sprofondare.
Sentivo la mia mente curvarsi su se stessa, ripiegarsi, e infine esplodere
in un colossale tumulto di pensieri e sensazioni contrastanti. E mentre
nella mia mente i pensieri si scontravano e si confondevano in un turbine
di caotica disperazione, le linee buie e indistinte del paesaggio,
l’aria fresca e leggera, il silenzio di quella notte eterna e
immutabile si mescolavano in diafane sfumature di una pace assorta,
imperturbabile e solenne. Come se l’anima stessa di quella terribile
pianura si fosse materializzata davanti a me, puntandomi il dito contro,
biasimandomi per aver portato dolore e tormento in quella distesa di
calma pigra e sonnolenta. Quell’idea era così perfettamente
assurda, scorretta, irragionevole, da sopraffare persino il terrore
più cieco, e in un istante tutta la spossatezza di quella lunga
corsa piombò su di me facendomi inciampare e cadere a terra.
Sentivo l’aria avvampare nei polmoni e nella gola ad ogni respiro,
e il cuore scalpitava come un meccanismo sul punto di rompersi, ma
la mia mente era come anestetizzata, estranea a quel che mi stava succedendo.
Impedendomi di ricordarne il motivo mi imposi di rialzarmi non appena
le mie energie me lo avrebbero permesso e di riprendere ad avanzare,
obbligandomi a non pensare al luogo in cui mi trovavo, e soprattutto
alla meta che intendevo raggiungere, perché ormai sapevo che
la meta non esisteva, ed era questa la cosa che più di ogni
altra dovevo nascondere a me stesso. Così, quando finalmente
respirare si fece meno doloroso e il battito del cuore più regolare,
mi affrettai ad alzarmi. Appena mi rimisi in piedi, però, un
capogiro mi fece barcollare. Persi l’equilibrio e sicuramente
sarei caduto se sulla mia destra non avessi trovato a sorreggermi un
basso muretto di mattoni. Nell'istante immediato in cui fermò la
mia caduta avvertii quel muro come qualcosa di estraneo, di pesantemente
fuori posto. Poi alzai lo sguardo e poco distante mi accorsi di una
sagoma scura che si ergeva nel nero della notte. Avevo trovato una
casa! E poi un’altra, un’altra ancora… Mentre mi
riprendevo dalla stanchezza e gli occhi si abituavano nuovamente all’oscurità mi
resi conto di trovarmi all’interno di un paese. Probabilmente
piccolo: le case erano ammassate una sull’altra in un caos disordinato
e scomposto, simili a piccole tane sparpagliate in un groviglio di
gallerie, archi, e intricati labirinti di scale e corridoi. O forse
era solo un’impressione dovuta proprio alla disposizione bizzarra
delle vie e degli edifici? Provai a bussare ad una porta, in cerca
di un riparo per quella notte, che probabilmente non doveva indugiare
ancora molto, nonostante mi rendessi conto che poteva essere stata
la paura ad aver dilatato magari poche ore in un’eternità d’incubo.
Provai a bussare, ma nessuno rispose. Bussai ad una seconda porta,
e questa volta in risposta fui atterrito da un suono basso, vagamente
stridulo, come un lamento acuto attutito dalla lontananza. Allora compresi
di non essere sfuggito all’incubo, ma di essere piuttosto giunto
a quello che ne era il culmine. Mi allontanai dalla porta in preda
ad un nuovo terrore. Sentivo nuovamente le dita gelide e ossute della
paura artigliarmi le tempie, e sottomesso da quella morsa lacerante
iniziai a correre per vie anguste e oscure, che sembravano proseguire
con un’ostinazione esasperata sempre e solo più in profondità all’interno
di quel groviglio di case, mura e cortili deserti. Mentre correvo tra
quei corridoi spettrali come trascinato in un folle vortice di rovine
e detriti, i gemiti, improvvisi e laceranti come lame di un coltello,
si riversavano per quelle vie anguste, rimbalzando sulle pareti e proiettandosi
nel nero vuoto che annegava ogni cosa. All'improvviso mi accorsi di
due occhi felini che mi osservavano immobili come due piccoli globi
di luce fredda e cieca. Mi fermai, e in poco tempo cominciai a distinguere
il profilo del gatto ancora intento ad osservarmi dall'alto di un piccolo
muro di cemento. Mi avvicinai lentamente al piccolo muro al lato della
strada, mentre il gatto mi seguiva con i suoi occhi enigmaticamente
imperturbabili. Pensai di toccare il muro nella speranza di trovare
sollievo, in quel contatto, al terrore cieco che risuonava in tutte
le mie ossa. Il gatto continuava ad osservarmi, da una certa distanza,
mentre mi avvicinavo, e mentre mi voltavo per sedermi a terra con la
schiena appoggiata alla parete, lentamente, lentissimamente, per l'oscuro
terrore, che pesava sul mio cranio come un corpo morto, degli orrori
ignoti che temevo potessero strisciare fuori dal buio di ogni anfratto,
rendendosi visibili e sconvolgendo la mia mente in maniere nuove ed
inconcepibili. E sempre il gatto continuava ad osservare ogni mio movimento,
mentre mi lasciavo scivolare lungo la parete ruvida del muro; potevo
sentire i suoi occhi su di me come un peso che mi schiacciava insopportabilmente,
paralizzandomi. Quando finalmente distolse lo sguardo, chiudendo gli
occhi per tornare al suo riposo impassibile, mi accorsi di riuscire
a distinguere sempre più chiaramente il paesaggio che mi circondava;
i piccoli cortili scavati in cupe rientranze ai bordi della strada,
le inferriate, i balconi, i comignoli, e sopra ogni altra cosa una
quantità strabiliante di gatti che mi osservavano con i loro
occhi misteriosi e penetranti... Se vi è capitato di sentire,
la notte, il verso dei gatti avrete forse notato la somiglianza dei
loro richiami con lamenti umani tanto strazianti da non poter avere
origine che da una sofferenza assoluta e inconsolabile. Così era
successo a me quella notte... Non riesco a ricordare se quella fu la
prima volta in cui considerai questa peculiarità, ma questo
probabilmente non ha molta importanza, non più almeno. Ma aspettate,
sembrate spaventato... vi siete perduto? Le strade isolate che attraversano
le pianure di campagna si somigliano un pò tutte, e in una notte
buia come questa capita a volte di perdere di vista la propria direzione,
ma è possibile che anche questo luogo, quando il sole è alto
nel cielo, non sia poi così desolato come sembra; potremmo fare
un pò di strada assieme, aspettando la luce del giorno, se vi
va' la compagnia di un vecchio gatto come me...
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